
bardo
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Una piccola curiosità: In Italia sono presenti tre specie di tartaruga terrestre (Testudo marginata, Testudo graeca e Testudo hermanni) e una di tartaruga acquatica (Emys orbicularis)? Ce ne sono altre? E qual è, tra le specie terrestri, quella più minacciata?
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Peccato! Beh, speriamo anche noi! Tienici informati! Ciao!
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Se hai la possibilità, portalo da un veterinario aviare. Questo ti porta agli indirizzi dei veterinari aviari. Nel caso tu non ne abbia la possibilità, certamente puoi ricorrere ad un normale veterinario, che comunque saprà informarti.
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Mi avete preceduto! quoto entrambi, naturalmente. Che pappagallino hai? Una Cocorita (Melopsittacus ondulatus)?
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Purtroppo non ho idea di cosa possa avere il tuo piccione. Potresti (te lo consiglio) portarlo da un buon veterinario. Lui sicuramente saprà darti maggiori delucidazioni. Facci sapere!
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Si, è una leggenda. Non avrei avuto nemmeno un diamante mandarino se fosse così. Anche se è vero che tanti controlli e spostamenti non fanno troppo bene. Ciao!
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Ciao! Sinceramente a questo punto non saprei nemmeno io cosa consigliarti. Hai guardato bene nella gabbia? Può essere che l'abbiano "nascosto" molto bene? Nel caso se lo siano mangiato, anche io credo che sarà difficile modificare questo comportamento. La mia diamante mandarino faceva così, deponeva anche senza il maschio cioè e poi se le mangiava, quando ancora non aveva l'osso di seppia e/o la tavoletta dei minerali. Tu li hai messi a disposizione? Continuo a sconsigliarti tutti gli spostamenti. A presto
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Anche nei canarini come nella maggior parte degli uccelli, il canto è una prerogativa dei maschi, mentre le femmine si limitano ad emettere dei cinguettii piu' o meno squillanti, che talvolta incitano i maschi ad emettere prorompenti virtuosismi canori. Il tuo canarino è un maschio o una femmina?
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Le uova vanno da un minimo di due a un massimo di sette. Entrambi i genitori covano le uova per circa tredici giorni; dopodiché i pulcini cominceranno a nascere. Lascia la coppia tranquilla e apri il nido il minimo indispensabile per controllare che tutto proceda per il meglio. Se non vuoi altri uccellini, devi ricordarti di togliere il nido, perché i Diamanti Mandarino una volta finita la prima covata, ne inizieranno subito una seconda, una terza e così via, rischiando poi di indebolirsi troppo. Quindi, se vuoi, togli il nido subito dopo la prima covata, quando i piccoli saranno già autosufficienti. Ciao!
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A proposito dell'Uro... Nel 1921, due genetisti tedeschi, Luts ed Heinz Heck, affascinati dalla possibilità di ricostituire l'Uro, intrapresero una serie di incroci tra varie razze bovine presso gli Zoo di Monaco e Berlino. Il lungo lavoro di selezione che ne seguì porto alla formazione dell'attuale Uro ricostituito che con numerose mandrie regolarmente iscritte ad un proprio libro genealogico, viene allevato in molti parchi zoologici tedeschi e francesi. Esiste inoltre un comitato che ha come scopo la futura reintroduzione dell'Uro nelle antiche foreste polacche dove un tempo prosperava in compagnia del Bisonte europeo (Bison bonasus). foto Uro ricostituito
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Beh, grazie, ma in fondo mi diverto anche!
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Molto topic parlano del lupo e di alcune delle sue sottospecie, più o meno imparentate tra loro, e allora perchè non parlare esaurientemente, almeno spero, di questo animale così, in questo periodo, popolare? Il lupo (Canis lupus, Linnaeus 1758) è un mammifero placentato appartenente alla famiglia dei Canidi, ordine sistematico dei Carnivori. Caratteristiche fisiche Le dimensioni del lupo variano a seconda della sottospecie, ma generalmente questo animale ha la taglia di un grosso cane: i maschi, generalmente più grandi delle femmine, misurano da 135 a 170 cm di lunghezza, mentre l'altezza al garrese varia da 45 a 90 cm; 30-35 cm spettano alla coda. Il peso in genere è di 25-35 kg, anche se spesso raggiunge i 40-45 Kg. Il mantello invernale ha pelo lungo e fitto e la colorazione tende al grigiastro, contrariamente a quello estivo in cui il pelame è corto, rado, poco denso e di colore marrone-rossiccio. Una macchia bianca si estende ai lati del muso e sulle guance, mentre la punta della coda é nera. Nella popolazione italiana e in quelle mediterranee in genere, gli arti anteriori frontalmente sono sempre percorsi da una sottile striscia longitudinale scura. Le orecchie sono triangolari, arrotondate, erette e più corte che nel cane. Gli occhi sono in genere di colore giallo dorato o ambrato. Organizzazione sociale Animale marcatamente sociale, il Lupo vive in gruppi organizzati da una ferrea gerarchia le cui dimensioni variano a seconda delle disponibilità ambientali. In Italia, dove mancano le grandi prede, i branchi in genere sono piccoli (dimensioni medie 6-7 individui, ma possono andare da 2 a 20 individui) e frequentemente costituiti da nuclei familiari che comprendono una coppia con i cuccioli dell'anno e a volte i giovani dell’anno precedente. L’organizzazione del branco attraverso una precisa gerarchia sociale è indispensabile per garantirne il perfetto funzionamento e il successo, per esempio nell’abbattimento di prede molto grandi. Si pensava che l'origine del branco fosse strettamente connessa con la necessità di avere più probabilità di successo nella caccia delle prede, tuttavia, anche se ciò può essere vero in alcuni casi, stanno emergendo altre teorie, secondo le quali, l'origine del branco andrebbe ricercata di più nel contesto della necessità di avere più successo durante la riproduzione. Il branco è guidato da due individui che stanno alla punta della piramide sociale, il maschio alfa e la femmina alfa. La coppia alfa (di cui solo uno dei due componenti può essere il "capo") possiede più libertà rispetto al resto del branco, anche se i due non sono leaders nel senso umano del termine: gli individui alfa non impartiscono ordini agli altri lupi; bensì, possiedono la libertà di scegliere cosa fare, quando farlo, dove andare, quando andare. Il resto del branco, che possiede un forte senso della collettività, solitamente li segue. La morte di un individuo alfa non influisce sullo status dell'altro, che troverà al più presto un nuovo partner per l'accoppiamento. Solo il maschio e la femmina alfa si riproducono, ma tutti i membri del gruppo partecipano attivamente all'allevamento e alla difesa della prole. Oltre alla coppia alfa, si possono trovare, specialmente nei branchi molto grandi, un lupo o dei lupi beta, un "secondo in comando" rispetto agli alfa. Normalmente, i beta assumono un ruolo più importante nel gruppo aiutando l'allevamento dei nuovi nati, spesso sostituendo i genitori quando la coppia alfa è via. I rapporti sociali sono mantenuti attraverso un complesso sistema di comunicazione sonoro (ululati, guaiti, uggiolii e latrati), olfattivo (secrezioni ghiandolari, marcatura con feci ed urine) e visivo (postura del corpo, posizione della coda e delle orecchie ecc.). I lupi preferiscono opporre un'ostilità psicologica anziché fisica, ciò significa che uno status molto alto nella scala sociale è basato molto più sulla personalità o sull'atteggiamento, che sulla taglia dell'individuo o sulla sua forza fisica. In branchi molto grandi, o in un gruppi di giovani lupi, il grado sociale può mutare costantemente, oppure essere circolare (esempio, lupo X ha il predominio su lupo Y, che a sua volta ha predominio su quello Z, che ha il controllo su X). Le tecniche di caccia del branco vanno dall'attacco a sorpresa alle cacce a lungo termine. Attraverso una meticolosa cooperazione, un branco di lupi è capace di inseguire una grande preda per alcune ore prima di arrendersi, sebbene il tasso di successo di questo tipo di caccia sia molto basso. I grossi erbivori selvatici (cervo, capriolo, giovani di cinghiale) costituiscono le prede di elezione del Lupo ma dove questi sono poco frequenti, l'attenzione è rivolta agli erbivori domestici (pecore, capre, cavalli, mucche ecc.) ma anche a piccoli animali (lepri, topi, rettili, insetti), carogne, frutta e bacche e, soprattutto in certe aree, ai rifiuti rinvenuti nelle discariche. I lupi solitari, invece, dipendono dalle piccole prede: i lupi le catturano lanciandosi addosso a quest'ultime e bloccandole al terreno con le zampe anteriori, una tecnica condivisa da quasi tutti i canidi come la volpe (Vulpes vulpes) e il coyote (Canis latrans). Un lupo medio necessita per sopravvivere, dai 1.3 ai 4.5 Kg di carne al giorno, anche se di rado questo animale mangia quotidianamente: quando ne hanno la possibilità, arrivano ad ingurgitare anche 9 Kg di carne. L’accoppiamento avviene a fine inverno (per i lupi che vivono in Italia la stagione degli amori arriva a febbraio-marzo) e al termine di due mesi di gestazione vengono alla luce 3-6 piccoli che cominciano ad aprire gli occhi dopo 15 giorni; passato un mese incominceranno a uscire dalla tana per iniziare la loro vita sociale. La femmina si occupa di trovare la tana nella quale trascorrerà l’intero periodo dell’allattamento. Il maschio partecipa attivamente alle cure dei piccoli: insieme alla sua compagna nutre i lupetti rigurgitando il cibo, precedentemente masticato e ingoiato, direttamente nelle loro bocche. Con il passare del tempo i genitori porteranno pezzetti di cibo sempre più grandi finché i piccoli non saranno completamenti autonomi. Distribuzione Il Lupo in tempi storici era comune e diffuso in tutto il Nord America e l'Eurasia, con l’esclusione di Indocina e Indonesia. Attualmente, sia per la persecuzione diretta da parte dell'uomo che per l’alterazione degli ambienti idonei, la distribuzione è notevolmente più limitata e frammentata e, in Europa, le popolazioni relitte sono confinate nella ex Unione Sovietica europea, nelle penisole balcanica, iberica e italiana. In Italia, fino a pochi anni fa, la presenza del Lupo era limitata, con poco più di 100 esemplari, alle regioni centrali e meridionali, ma negli ultimissimi anni si è verificato un incremento demografico (attualmente gli individui stimati sono 380-500) e una notevole espansione dell’areale che ora comprende anche l’Appennino settentrionale ed i primi rilievi montuosi francesi. Questa espansione è da attribuire, verosimilmente, a tanti fattori favorevoli: 1. La protezione legale della specie, 2. L'abbandono di molte aree montane e sub montane, 3. Il ritorno in molte aree dei grossi Ungulati selvatici. Inoltre, l’espansione della popolazione balcanica di lupi, che ormai ha raggiunto il confine italiano, lascia prevedere una rapida colonizzazione anche delle Alpi orientali. In Calabria, dove è sempre rimasto uno dei nuclei più consistenti della popolazione italiana, l'areale, che nel recente passato comprendeva il Pollino, la Sila e parte della Catena Costiera, si è espanso verso sud fino all'Aspromonte da dove era scomparso da alcuni decenni. Le popolazioni isolate sopravvissute nell'Europa meridionale (Italia, Spagna e Balcani) soprattutto grazie alla presenza di ambienti relativamente aspri, selvaggi e poco sfruttabili da parte dell'Uomo e a pratiche pastorali meno intensive e più tradizionali, fondate più sulla difesa delle greggi che non sulla distruzione del predatore, rappresentano i centri di diffusione per la ricolonizzazione di almeno una parte dell'areale europeo centrale e meridionale da cui il Lupo é scomparso da lungo tempo. Sottospecie Esistono molte sottospecie, differenti a seconda di caratteristiche fenotipiche, genetiche e comportamentali, tra cui: Cane - Canis lupus familiaris E' il cane domestico. Lupo europeo - Canis lupus lupus E' la sottospecie più diffusa in Europa e in Asia, presente dalla Scandinavia all'Himalaya. Lupo delle steppe - Canis lupus campestris Vive nelle vaste steppe dell'Asia centrale. E' grigio-rossastro. Lupo della tundra d'Eurasia - Canis lupus albus E' presente nel nord della Russia e della Siberia, di colore chiaro. Lupo della tundra - Canis lupus tundrarum Vive nelle regioni dell'Alaska. Lupo dei boschi o Lupo del Canada - Canis lupus lycaon Presente in Canada e Stati Uniti, fu la prima sottospecie a essere identificata in America Settentrionale. La lunghezza varia dai 150 ai 180 cm, includendo anche la coda. Gli esemplari più grossi possono avere una coda anche lunga più di 50 cm, raggiungendo anche i due metri. L'altezza al garrese varia dai 65 agli 85 cm. Il lupo dei Boschi riesce a raggiungere un peso superiore ai 45 Kg, l'esemplare maschio medio pesa attorno ai 35 Kg, mentre l'esemplare femmina medio pesa circa 30 Kg. Tipicamente, il Lupo dei boschi possiede una pelliccia color argento o grigio-marrone, e il pelo, nella sua parte inferiore ha un colore marrone-chiaro o color crema. Durante i mesi invernali il pelo tende a diventare più scuro. Da ricordare anche Canis lycaon, ovvero il Lupo del Canada orientale, presente a est del Canada, da non confondersi col precedente. Originalmente si pensava che fossero lo stesso lupo, ma nuovi dati e test genetici hanno rivelato che i Lupi che occupano la regione del Parco Algonquin nel Canada sono specie molto diverse dai lupi dei Boschi, e che sono molto più imparentati con il lupo rosso (Canis rufus). Lupo del Nebraska - Canis lupus nubilus Presente nelle Montagne Rocciose, in Canada e in Alaska, cacciato legalmente in parte del territorio canadese. Lupo del Messico - Canis lupus baileyi Presente in Messico e in parte del Texas e dell'Arizona; è stato reintrodotto in Arizona a partire dal 1998, allo stato attuale la popolazione selvaggia è di 35-50 individui. La sua lunghezza non supera quasi mai i 135 cm. La sua altezza non supera quasi mai gli 80 cm e il suo peso varia dai 27 ai 45 Kg. La sua pelliccia è di colore grigio, alcune volte, accompagnato da qualche tinta rossiccia. Lupo bianco - Canis lupus arctos Presente in Groenlandia e nell'Artico del Canada, dal tipico manto bianco o crema. Sono lunghi circa dai 90 ai 150 cm includendo anche la coda, la loro altezza al garrese varia dai 65 agli 80 cm e il loro peso supera spesso i 45 Kg arrivando anche a superare gli 80 Kg negli esemplari completamente sviluppati. Lupo appenninico - Canis lupus italicus Presente nella Penisola italiana e in regime di protezione legale dal 1992, anno in cui è stato dichiarato "specie particolarmente protetta". Il lupo appenninico è più piccolo rispetto al lupo comune: il peso di un esemplare maschio si aggira attorno ai 30-35 Kg, mentre nell'esemplare femmina il peso è di circa 20-25 Kg. La lunghezza media è di circa 120 cm, mentre l'altezza media è di circa 50-70 cm. Il pelo è di colore grigio-marrone. A partire dagli inizi del '900, incominciarono le persecuzioni nei confronti del lupo degli Appennini. Rapidamente, la popolazione diminuì di numero: il lupo scomparì definitivamente dalle Alpi ,dalla Sicilia, e negli anni successivi anche negli Appennini si riscontrò un forte calo della popolazione. Nel dopoguerra la situazione divenne sempre più grave, finché negli anni '70 la popolazione raggiunse un numero di 100-110 esemplari. A partire dagli anni '70 si attuarono quindi le prime politiche di conservazione riuscendo ad arrivare così ad una popolazione di circa 200 individui un decennio dopo,e di circa 400 lupi negli anni'90. La popolazione odierna conta circa 500-600 esemplari, secondo le ultime stime. Purtroppo continuano tuttora alcune campagne di persecuzione attraverso fenomeni come il bracconaggio. Il lupo, oggi, è presente sull'intera catena degli Appennini, sulle Alpi Occidentali, in Lazio e in Toscana. NOTA: Il Lupo appenninico è uno dei "protagonisti" della storia del Lupo Italiano, una razza canina nata da una selezione partita da un cucciolo di una femmina di Lupo appenninico e di un maschio di Pastore tedesco. Lupo della Russia - Canis lupus communis Presente in Russia centrale, in declino ma cacciato legalmente. Dingo - Canis lupus dingo Presente in Australia. Lupo di Honshu - Canis lupus hodophilax † Sottospecie estinta dal 1905. Era presente sulle isole di Honshu, Shikoku, e Kyushu. Lupo indiano - Canis lupus pallipes Presente in Medio Oriente, Afghanistan, Pakistan e India. Da questa sottopsecie probabilmente deriva il dingo. Lupo di Hokkaido - Canis lupus hattai Estinto dal 1889, abitava nell'isola giapponese di Hokkaido e marginalmente in Siberia meridionale (Russia). Lupo del Mar Caspio - Canis lupus cubanensis Presente, con popolazione in declino, tra il Mar Caspio e il Mar Nero. Lupo Arabo - Canis lupus arabus Presente, con popolazione in declino, in Arabia Saudita, Yemen e Oman. Lupo Egiziano - Canis lupus lupaster E' una piccola sottospecie dell'Africa settentrionale, oramai relegata ai monti del Sinai in Egitto ed è considerato in pericolo critico. Si nutre di ciò che quelle aride terre offrono e può entrare in competizione colla sottospecie di leopardo ivi presente ossia (Panthera pardus jarvisi). Lupo della Valle Mackenzie - Canis lupus occidentalis Presente in Alaska e in Canada, è stata la sottospecie oggetto del programma di reintroduzione iniziato nel 1995 nel Parco Nazionale di Yellowstone. Vanno ancora ricordati: Lupo Rosso - Canis rufus Presente nel sud degli Stati Uniti. Si ritiene che in origine fosse diffuso in gran parte della porzione orientale del Nordamerica, dalla Pennsylvania al Texas. Nell'ultimo secolo, tuttavia, la caccia, la distruzione dell'habitat e l'ibridazione con il coyote hanno portato la specie sull'orlo dell'estinzione. Attualmente rimangono solo 270 esemplari, 170 dei quali in cattività e 100 reintrodotti nella Carolina del Nord. In passato erano diffuse tre sottospecie del lupo rosso, due delle quali sono estinte. Il Canis rufus floridianuss si è estinto nel 1930, mentre il Canis rufus rufus è stato dichiarato estinto nel 1970. Il Canis rufus gregoryi, la sottospecie sopravvissuta, allo stato selvatico si è estinta nel 1980. La classificazione tassonomica del lupo rosso è stata a lungo dibattuta: tradizionalmente, è sempre stato considerato una specie a sé stante. Altri ritengono che il lupo rosso sia semplicemente frutto dell'incrocio fra il lupo grigio e il coyote. Lupo d'Etiopia o Lupo di Abissinia o Caberù o Volpe di Simen o Sciacallo di Simen - Canis simiensis E' una tra le più rare e minacciate specie di canidi . Vive sulle montagne dell'Etiopia, a circa 3.000 metri di altezza sul livello del mare. Ne sopravvivono solo 12 branchi, per un totale di 550 esemplari adulti. Qui di seguito sono riportate delle sottospecie che, come si puo' notare dal nome sia italiano che latino, differiscono quasi sempre per la localizzazione geografica: Lupo dell'isola di Newfoundland - Canis lupus beothucus Presente sull'isola di Newfoundland, sulla costa est del Canada. E' estinto. Lupo di Bernard - Canis lupus bernardi Presente in Nord-America. E' estinto. Lupo della Mongolia - Canis lupus chanco Vive in tutti gli ambienti. Dalla tundra alla taiga fino alle steppe. Lupo della Columbia Britannica - Canis lupus columbianus Lupo dell'isola di Vancouver - Canis lupus crassodon Canis lupus filchnevi Lupo delle Montagne delle Cascate (Riserva delle Cascate di Banfora, Burkina Faso) - Canis lupus fuscus E' estinto. Lupo grigio-bianco - Canis lupus griseoalbus Lupo Hudson - Canis lupus hudsonicus Lupo delle Montagne Rocciose settentrionali - Canis lupus irremotus Lupo di Labrador - Canis lupus labradorius Lupo dell'Arcipelago Alexander - Canis lupus ligoni Presente nelle regioni dell'Alaska presso l'arcipelago Alexander. Lupo dei territori nord-occidentali - Canis lupus mackenzii Lupo dell'isola di Baffin - Canis lupus manningi Presente sull'isola Baffin (Baffin Island), appartenente al Canada, la maggior isola dell'Arcipelago artico canadese. Lupo austro-ungarico o Lupo dei canneti - Canis lupus minor E' una sottospecie di dimensioni particolarmente modeste che visse fino all'inizio del XX secolo in Ungheria e nella parte orientale dell'Austria. E' estinto. Lupo sud-occidentale - Canis lupus mogollonensis E' estinto. Lupo del Texas - Canis lupus monstrabilis E' estinto. Lupo groenlandese - Canis lupus orion Lupo dell'Alaska - Canis lupus pambasileus Lupo iberico - Canis lupus signatus E' il lupo della penisola Iberica. Lupo delle Montagne Rocciose meridionali - Canis lupus youngi
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Ciao! Che io sappia è riconosciuto anche in Italia, dall'ENCI.
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Non posso che dirti...COMPLIMENTI!!!
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E' vero, al contrario del gatto domestico non sotterra gli escrementi e inoltre non gioca con la preda. Molti tassonomi assegnano alla medesima specie il Gatto Selvatico Europeo (Felis silvestris silvestris) e il Gatto Selvatico Africano (Felis silvestris libyca), e pongono sullo stesso piano il gatto domestico (Felis silvestris catus). Sono d'accordo. Credo quindi che il gatto domestico non sia altro che una sottospecie del gatto selvatico (lybica e/o silvestris), pur probabilmente incrociato con altre specie. Curiosità: La maggior parte degli studiosi ritiene che le razze di gatto domestico a pelo corto discendano dal ben noto gatto selvatico fulvo (Felis silvestris lybica), di origine africana, addomesticato dagli antichi egizi forse già nel 2500 a.C. e poi introdotto in Europa dai crociati, dove si mescolò ai gatti selvatici indigeni, di dimensioni più piccole. Le razze a pelo lungo, invece, derivano probabilmente dal manul o gatto di Pallas (Otocolobus manul, o Felis manul), un piccolo gatto selvatico dell'Asia centrale.
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Su spunto di flessio, parliamo un po' del gatto selvatico. Il Gatto selvatico (Felis silvestris) è la specie più nota di gatto selvatico. Possiede moltissime sottospecie divise in tre "gruppi": lybica (gatto fulvo d'Egitto), ornata (gatto delle steppe) e silvestris (gatto selvatico europeo). Si ritiene comunemente che il progenitore dell'attuale gatto domestico (Felis silvestris catus) sia proprio Felis silvestris lybica anche se non possono essere escluse ibridizzazioni con altre sottospecie. Gruppo lybica: Gatti africani Felis silvestris brockmani (Africa orientale) Felis silvestris cafra (Africa meridionale) Felis silvestris foxi (Africa occidentale) Felis silvestris griselda (Africa centrale) Felis silvestris lybica (Nord-Africa e Penisola Arabica) Felis silvestris ocreata (Africa centro-orientale) Felis silvestris pyrrhus (Africa centro-occidentale) A questo gruppo appartengono le sottospecie proprie delle isole del Mediterraneo. Non conoscendosi resti di questi animali nei giacimenti del Pleistocene, si suppone che siano stati introdotti dall'uomo a cominciare dall'Olocene. Queste sottospecie sono: Felis silvestris cretensis (Creta) Felis silvestris jordansi (Maiorca) - Di identità dubbia, probabilmente estinta attualmente Felis silvestris reyi (Corsica) Felis silvestris sarda (Sardegna) Gruppo ornata: Gatti asiatici Felis silvestris caucasia (Anatolia e Caucaso) Felis silvestris caudata (Asia centrale) Felis silvestris ornata (Persia e India) Felis silvestris shawiana (Cina e Mongolia) Gruppo silvestris: Gatti europei Felis silvestris grampia (Scozia) Felis silvestris silvestris (Maggior parte dell'Europa) Felis silvestris tartessia (Penisola Iberica a sud dei fiumi Ebro e Duero) Gatto selvatico italiano E' una delle presenze più misteriose delle macchie e dei boschi della penisola italiana: schivo, diffidente, con abitudini quasi esclusivamente notturne, riesce a passare quasi sempre inosservato fino a rendersi addirittura invisibile. Nella maggior parte dei casi se ne scopre la presenza (discorso simile a quello sulla lince) soltanto dai segni della sua attività notturna, come resti di prede, impronte, segni degli artigli sulle cortecce, riconoscibili però solo con occhi esperti, oppure purtroppo per gli esemplari che muoiono travolti dalle auto in corsa mentre attraversano la strada. E' un animale di medie dimensioni, particolarmente potente e agile, abile arrampicatore, con testa larga e massiccia, muso corto, grandi occhi ellittici verde-oro, lunghe vibrisse, dentatura tipicamente da carnivoro e lunghe orecchie. Il corpo è lungo circa 47,5-80 cm e la coda, cilindrica e ad apice mozzo, è lunga come metà del corpo, circa 26-37 cm; il peso si aggira tra i 5 e i 18 kg. Gli arti sono robusti, con dita dotate di cuscinetti elastici e artigli acuminati retrattili. I suoi caratteri più distintivi sono i vistosi anelli e la punta nera della coda, le quattro striature scure nella regione cervicale fino alla base del collo e la fascia nera sul dorso che si interrompe alla base della coda. Il pelo, fulvo giallastro o bianco-argenteo è normalmente folto e ancor più in inverno: i peli erettili interagiscono con le vibrisse per dotarlo di straordinarie capacità tattili e sensitive. Questo felino teme ben pochi predatori ed è perennemente all’erta per cacciare in lente e lunghissime perlustrazioni con vista e udito pronti a far scattare attacchi fulminei. Caccia prevalentemente piccoli roditori, scoiattoli, lepri e conigli, uccelli e rettili, ma non disdegna anche alcuni insetti. Ottimo pescatore, ama artigliare i pesci per poi mangiarseli. Il Gatto selvatico conduce spesso vita solitaria e anche nei casi in cui vive in coppia i due individui conducono vite autonome all’interno di un territorio ben definito marcato continuamente dal maschio con spruzzi di orina. E’ attivo soprattutto nelle ore del crepuscolo e in quelle dell’alba, quando può sfruttare la sua vista acutissima, mentre trascorre gran parte delle sue giornate in una tana, di solito nella cavità di un vecchio tronco, in un buco tra le rocce o in un cespuglio molto fitto, purché asciutto. E’ attivo durante la giornata soltanto in inverno, quando scarseggiando i roditori deve poter cacciare altre prede, e tra metà gennaio e metà marzo, periodo degli amori. Abita prevalentemente i boschi di latifoglie, i boschi misti e la macchia mediterranea (Sardegna), soprattutto in terreni impervi e rocciosi, con forre rocciose dalla vegetazione rigogliosa, praterie e radure interrotte da cespugli. Raggiunge la maturità sessuale a 10 mesi-un anno, e lo sviluppo completo a 3 anni. Dopo l'accoppiamento, che si svolge in primavera, la gestazione dura 63-68 giorni. Il numero dei piccoli varia da 2 a 6 cuccioli, di solito 3 o 4; la madre, raramente assisistita dal padre, rimane con essi solo fino al raggiungimento dell'autosufficienza, che raggiungono verso i 3 mesi. L’allattamento dura circa un mese dopo il quale la femmina procura ai piccoli piccole prede. Il primo periodo di vita autonoma è però il più difficile per i gatti selvatici: solo il 10% dei nati infatti raggiunge il secondo anno di età. Ha una speranza di vita media di 12- 15 anni. Numeroso un tempo sulle montagne d'Europa e nell'Asia occidentale, oggi il gatto selvatico è purtroppo in via d'estinzione, eccetto in alcune zone dell'Europa Orientale. In Italia, dove è specie protetta, la popolazione di Gatto selvatico è stata stimata in circa 700 800 animali distribuiti nelle Alpi liguri, nelle Alpi Carniche, nella parte centrale della dorsale appenninica, nel Gargano, in Sicilia. In Sardegna abita il Gatto selvatico sardo (Felis silvestris sarda) che non appartiene al gruppo della sottospecie europea presente nel resto dell'Italia, ma deriva dalla sottospecie africana (Felis silvestris lybica), e si ritiene introdotto dall'uomo circa 10000 anni fa. E' un endemismo sardo a livello di sottospecie. Questa sottospecie è più piccola, ha coda lunga e un ciuffo di peli sull'estremità delle orecchie. Le principali minacce alla sopravvivenza della specie sono: 1. La persecuzione diretta da parte dell’uomo, che sebbene diminuita miete ancora molte vittime, soprattutto attraverso l'uso di tagliole e lacci. 2. L’ibridazione con gatti domestici, che sono anche un veicolo per pericolose patologie ( è considerato il principale fattore di minaccia per la specie). 3. La distruzione e frammentazione degli habitat. Nei secoli passati fu perseguitata dalla caccia come “nociva” e persino per fini culinari. Foto Gatto selvatico Foto distribuzione
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A proposito del gatto selvatico (Felis silvestris), bellissimo felino poco conosciuto e seriamente minacciato, come ricorda flessio, apro un altra discussione, sperando che possa interessare qualcuno.
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Ciao! Si, il cane è quello. la razza Toy Russo ha numero di standard 352 ed è inserita nell’elenco razze canine riconosciute al gruppo 9° - Cani da compagnia, Sezione 9a, Spaniel nani continentali. Gli antenati del Toy Russo (Russian Toy Terrier o Moscow Toy Terrier o Moscovian Miniature Terrier) sono gli English Toy Terriers ovvero i toy inglesi che erano molto popolari in Russia agli inizi del ventesimo secolo. Ma dopo la rivoluzione bolscevica il numero di questi cani decrebbe drammaticamete in quanto considerati cani egli aristocratici. Verso la metà del ventesimo secolo gli allevatori russi cominciarono a far rinascere la razza, sebbene il numero dei cani in loro possesso fosse molto limitato. Si incrociò con Chihuahua a pelo lungo, Yorkshire Terrier e altri e il risultato fu una nuova razza, che fu chiamata Moscow Longhaired Toy Terrier, cioè Terrier Toy Di Mosca a pelo lungo, e poi ribattezzata Russian toy-terrier, ovvero Toy Russo. Il Toy Russo è un piccolo cane elegante, con testa piccola, grandi occhi intelligenti, orecchie erette e arti lunghi e snelli. Il corpo è forte, il colo lungo. Esistono due varietà: Toy Russo a pelo lungo (Longhaired Russian Toy Terrier) e il Toy Russo a pelo corto (Smooth haired Toy Terrier). La varietà a pelo lungo è la copia dell'altra varietà e differisce solo per i ciuffi di pelo sulle orecchie. Entrambe le varietà possono essere incrociate e dare individui sia a pelo lungo che inividui a pelo corto nella stessa cucciolata, tuttavia due individui a pelo corto possono generare nella loro cucciolata individui a pelo lungo, mentre due individui a pelo lungo non possono mai dare alla luce cuccioli pelo corto. I colori ammessi sono: black and tan, rosso (dal chiaro allo scuro) e sabbia in entrambe le varietà. E' raro trovare individui brown and tan e, più di tutti, blue and tan. Il colore bianco è proibito anche se sono ammesse piccole macchie bianche sul petto e sulle dita. E' un compagno affettuoso, intelligente e fiducioso, agile e attivo, forte, senza paura, devoto al padrone tutta la vita. E' adatto alla vita in appartamento. Spero di esserti stato di aiuto! Ciao!
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Condivido lo scetticismo di molti, è difficile che la lince abiti i boschi abruzzesi visto che ogni individuo necessita di un territorio tra i 10 mila e i 25 mila ettari, ma ci sono alcune foto che dimostrano la sua presenza nel Parco Nazionale d'Abruzzo: questa raffigura "Impronte di Lince alla Camosciara, 14 febbraio 1996 (Foto Pasqualino LEONE, Archivio Centro Parchi Internazionale)" Infatti, come tutti i felini, è un animale elusivo estremamente difficile da osservare e il suo passaggio può essere segnalato quasi esclusivamente dalle caratteristiche orme tondeggianti senza segni di unghie.
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Riporto, a proposito del discorso sulla lince, un articolo, preso da criptozoo.com, del professor Franco Tassi: Franco TASSI (Roma), Coordinatore del Comitato Parchi Nazionali e Fondatore del Centro Studi Ecologici Appenninici, ha operato per 33 anni "nel fronte della Natura" come Direttore Soprintendente della più antica, importante e famosa Area Protetta d'Italia, il Parco Nazionale d'Abruzzo. Egli fu il primo naturalista a formulare, nel 1969, l'ipotesi (circondata da un forte scetticismo del mondo accademico) di una possibile sopravvivenza della Lince nell'Appennino. La storia della lince in Italia e, in special modo in Abruzzo, è avvolta nel mistero. Sul suo passato e sullo stesso presente, si afferma tutto e il contrario di tutto: dove viveva un tempo? E' tornata, sì, ma come? E potrà restare, sopravvivere, espandersi? Hanno davvero ragione quanti insistono nell'affermare che la lince non c'era mai stata, nell'Appennino e che qualcuno forse ha voluto riportarla qui clandestinamente? Una strana vicenda un "giallo", forse. Ma, più probabilmente, una "commedia all'italiana". E' una vicenda storica, scientifica, naturalistica ed anche culturale ed umana che meriterebbe d'essere narrata in ogni particolare. Per ora, tuttavia, limitiamoci ad anticiparne qualche sommario dettaglio. Iniziando da quanto affermava su questo splendido gattone il più autorevole studioso del secolo scorso, il francese Louis Lavauden, che nel 1930 pubblicò la più completa monografia sulla lince. Ebbene, questo animale è stato, al contrario, completamente misconosciuto. Esso è rimasto, per così dire, ignorato dalle popolazioni che hanno vissuto a contatto con esso, né ha lasciato alcuna traccia nel folklore delle nostre provincie montane. La sua scomparsa totale ed antica dal nostro territorio è stata affermata con singolare tenacia: e gli zoologi più illustri hanno scritto, sulla lince, delle autentiche enormità. Per i trattati ufficiali la lince scompare dal nostro Paese all1inizio del secolo scorso. Ma, attenzione, ci si riferisce di solito soltanto alle Alpi, compreso il Parco Nazionale Gran Paradiso, di cui si conoscono e conservano diversi esemplari impagliati. Scendendo verso l'Appennino, per non dire nel Mezzogiorno, si piomba nella nebbia sempre più fitta e, poi, si precipita nel buio. Nel senso che affiora qua e là qualche notizia, ma le tradizioni venatorie meno evolute non restituiscono prove materiali certe, molte raccolte naturalistiche sono andate distrutte, e ben pochi se ne sono mai occupati così a fondo come l'argomento meritava. Gli zoologi più autorevoli e competenti, quindi, mettono sulla questione il punto finale: la lince, probabilmente, non è mai esistita (in epoca storica recente) sull'Appennino, e tutte le segnalazioni si riferiscono, piuttosto, al gatto selvatico. Ad affermarlo è dapprima Alessandro Ghigi nel 1911 e nel 1917, ma poi Augusto Toschi ribadisce questo concetto nel 1968. E nessun zoologo professionista italiano si occuperà più della questione, se non per liquidarla con una scrollatina di spalle. E dire che la lince è riportata in trattati e libri, da almeno quattro secoli, che figura nei resoconti di viaggio degli stranieri discesi nella penisola per il "Grand Tour", e che era familiare a pastori e montanari, i quali la chiamavano spesso "gattopardo" o "lupo cerviero" Sì, proprio nell'Appennino, ed in modo particolare nelle "terre d'Abruzzo". Sentire affermare dall'autorità accademica, a titolo di puro scientismo, che la lince non esisteva in Abruzzo, faceva sorridere sotto i baffoni qualche vecchio e saggio pastore delle montagne marsicane, di cui ricordo ancora la figura austera e suggestiva: ma soprattutto divertiva lei, "la fiera dall'acutissima vista", come la definiva lo studioso Leonardo Dorotea di Villetta Barrea. E lei se ne stava rintanata nei luoghi più inaccessibili, in attesa di tempi migliori. Quell'asserzione un po' frettolosa di pur rispettabili studiosi mi lasciava perplesso, così come non mi convincevano i certificati di morte stilati a tavolino dai loro assai meno esperti, ma ben più pieni di sé, cattedratici, successori. Come dirsi certi dell'assenza della lince, senza avere verificato con cura e pazienza almeno le testimonianze più importanti? Quale indagine poliziesca o giudiziaria, condotta con metodi simili, porterebbe a risultati soddisfacenti? Decisi allora di approfondire la questione, consacrandole qualche briciola del mio scarso tempo libero. Lavoravo e studiavo, cercavo con passione la mia strada in condizioni non facili, per molti rappresentavo forse uno strano "avvocato naturalista" che si occupava di animali, piante e insetti girando per la montagna, e che si indignava quando s'imbatteva in enormi patriarchi verdi, fossero faggi o querce, villanamente abbattuti per quattro soldi. Fu al principio del 1969 che un quotidiano romano (per la precisione, Il Giornale d'Italia del 4-5 marzo, nella rubrica "La fauna d'Italia"), pubblicò un mio articolo sulla lince, che sottotitolava: "esiste ancora o è estinto questo bellissimo predatore?" Non si trattava soltanto di un sasso nello stagno, era molto di più: significava esporsi al rischio di passare per pazzo o per eretico, e di incominciare ad essere osservato come un fenomeno anomalo da gran parte del mondo accademico. Ma c'era anche, per fortuna, chi credeva nella validità di certe "intuizioni", e quindi mi incoraggiava: furono il genetista Giuseppe Montalenti, lo zoologo Baccio Baccetti e l'etologo Danilo Mainardi, per i quali nutro ancora vera riconoscenza e stima profonda ad oltre trent'anni di distanza. Una decina di giorni dopo l'articolo, il 16 marzo 1969, a conclusione di una incredibile battaglia assumevo il ruolo di Direttore Soprintendente del Parco Nazionale d'Abruzzo, che da ben sei anni languiva nel più totale abbandono e sfacelo. E, per molti anni, continuai a ricercare notizie sulla misteriosa lince nei sempre più scarsi attimi di tregua che la strenua lotta "sul fronte della natura" mi concedeva. Ma già nel 1971 potevo pubblicare, grazie anche ad un piccolo contributo del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche), una prima monografia sulla lince per la Società Italiana di Biogeografia: cui feci poi seguire, in moltissime occasioni, altri articoli, interviste e lavori a carattere eminentemente divulgativo. L'attenzione dei naturalisti più avvertiti e di parecchi studiosi stranieri su questo argomento cresceva, anche per l'analogia con vari casi piuttosto simili: la lince nei Pirenei francesi e in Grecia, il puma nella parte orientale degli USA, e poi altri felini sparsi qua e là nel mondo. Ma ciò non smosse minimamente il mondo accademico ufficiale, che nel 1981 indusse il CNR a pubblicare una enorme e costosa monografia ufficiale sui grandi Mammiferi d'Italia, da cui la lince veniva categoricamente esclusa. In altre parole, come dire: non esiste alcuna lince qui da noi, né nelle Alpi, né nell'Appennino; e quindi non ne vogliamo sapere nulla. E invece a quell'epoca pochi, isolati gruppi di linci sopravvivevano miracolosamente, celandosi negli anfratti e nei luoghi più remoti del nostro Paese: non solo nell'Appennino, e in special modo in Abruzzo, ma probabilmente anche nelle Alpi, sia orientali che occidentali. Ed era anche sicuramente iniziata la "calata" delle nuove linci, sia dal settore orientale che da quello transalpino, dove proprio in quegli anni si stavano registrando tentativi più o meno positivi di ripopolamento. Fu dunque nell'autunno dell'anno 1991 che credetti opportuno organizzare sull'argomento un seminario capace di richiamare grande partecipazione di pubblico e di appassionati. Intervennero tutti gli esperti più autorevoli e famosi, tra cui Peter Jackson, Presidente del Gruppo Felini dell'UICN (Unione Mondiale per la Natura) e Ulrich Wotschikosky, specialista tedesco appunto di linci e, con loro, moltissimi altri. Il Convegno venne riconosciuto da tutti come un grande successo, e portò ad alcune conclusioni innegabili quanto evidenti. La lince era esistita davvero nell'Appennino in passato, e vi stava ricomparendo oggi, anche se non risultava facile comprenderne cause e dinamiche, su cui sarebbe stato poi necessario indagare con maggior approfondimento. Questo felino meritava senz'altro di occupare il proprio posto nell'ecosistema forestale appenninico, anche se alcuni esperti vi si opponevano con i più incredibili pretesti: primo, secondo loro non vi era mai esistita; secondo, comunque non restavano spazi sufficienti né habitat adeguati; terzo, in ogni caso il suo ritorno sarebbe stato disastroso per gli ungulati, e soprattutto per il camoscio d'Abruzzo. Peccato, però, che nessuno di questi argomenti avesse un minimo di fondamento: perché anzitutto la lince c'era sempre stata e c'era ancora; e poi perché l'ambiente era ottimo, come veniva provato dalla stessa presenza dell'orso marsicano e del lupo appenninico. E, inoltre, la sua azione di predatore sarebbe stata limitata sull'agile camoscio, utile sull'ormai onnipresente capriolo, sporadica su altre specie, e tutto sommato complessivamente benefica. Perché allora contrastarla? Un animale del genere, se fosse davvero scomparso recentemente, avrebbe potuto essere reintrodotto, o no? Quest'ipotesi venne pure presa in considerazione, ma alla fine a bloccarla non furono certo gli argomenti speciosi e futili dei soliti contestatori. Fu invece qualcosa che essi neppure sognavano: e cioè il fatto che la lince stava lentamente riprendendosi ed espandendosi da sola, per forza propria, la forza inarrestabile della natura. E come ebbi modo di ripetere in più occasioni, in questo caso introdurre linci diverse, magari provenienti dalle fredde foreste mitteleuropee, sarebbe stato un errore gravissimo. Molti colpi vennero quindi incassati dagli scettici irriducibili, che comunque continuarono a tacere nell'imbarazzo suscitato dall'evidenza lampante in chi non vuole riconoscere alcuno dei propri grandi o piccoli errori. La "procedura-silenzio" sulla lince dell'Appennino imperava a tal punto ancora al principio degli anni Novanta, che dovetti finalmente riprendere l'iniziativa. Costituii così nel 1993 il Gruppo lince Italia che, grazie ad un ottimo nucleo operativo, incominciò a raccogliere molti dati. Fu dunque, negli anni 1994 e 1995 che, dopo ripetute conferme, decisi di rendere ufficiale attraverso il Parco, la notizia certa che la lince viveva ancora nell'Appennino, che la sua presenza nel Parco sembrava ormai stabile (con 8-10 individui) e che non mancavano segnalazioni da altre zone più o meno prossime. Ma la reazione dell'establishment non si fece attendere: non potendo più negare l'evidenza, lanciò persino la diceria che sì, magari qualcuno di questi felini poteva ora esser presente, ma solo perché a "lanciarli" ero stato io stesso. E cioè colui che in precedenza aveva già "lanciato" dall'alto lupi con paracadute e sacchetti di vipere, secondo due delle "leggende metropolitane" più popolari e diffuse, anche se ovviamente riferite a fatti mai provati, e comunque del tutto falsi. Dal 1999 in poi, al Gruppo lince aggiunsi la collaborazione di due validissimi esperti francesi, che avevano già studiato la "fantomatica" lince dei Pirenei, Luc Chazel e Muriel Da Ros, i quali impressero nuova energia alla ricerca. Ma, via via che le prove diventavano schiaccianti, le contestazioni aumentavano, creando soltanto confusione negli osservatori esterni. Nessuno si preoccupava invece di coadiuvare il Parco e il suo Centro Studi Ecologici Appenninici (da me fondato nel 1972), verso una indagine integrata anche sul piano genetico, ciò che davvero avrebbe contribuito a chiarire molte cose. A distanza d'un terzo di secolo dall'inizio della vicenda, la soluzione finale del "giallo" è a portata di mano, ma molti si ostinano a non vederla. La lince vive in Abruzzo, ed anche in altre parti dell'Appennino, e forse tornerà pian piano ad espandersi come una volta, o persino di più. Potrebbe essere discesa da sola dalle Alpi? Un viaggio lungo e difficile, ma non del tutto impossibile. Potrebbe essere stata liberata segretamente da qualcuno, magari di notte? Nessuno può escluderlo categoricamente, ma non vi sono né prove, né indizi e, in genere, questi interventi hanno alla lunga ben scarso successo. Per entrambe le ipotesi inoltre, se si trattava di individui "forestieri" (o, come vengono abitualmente definiti, pionieri e "fondatori"), è assai arduo credere che essi vivano, oggi, proprio nelle stesse zone dalle quali, nei secoli scorsi, pervenivano le ultime precise e costanti segnalazioni. E allora? Perché mai escludere a priori che questo felino, come molti altri, sia riuscito a sopravvivere assumendo comportamenti "criptici", elusivi e sfuggenti? Perché, poi, intestardirsi a ritenere che l'uomo abbia sempre ragione, e che sia vero soltanto ciò che egli vede e comprende in quel momento? No, la realtà è assai più vasta, ricca e complessa. No, il vecchio "lupo cerviero" conosce verità che noi neppure sogniamo, e può insegnarcene molte. Sì, bentornato "gattopardo".
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Io ti consiglio di insistere dolcemente, giorno per giorno, magari anche per poco tempo, in modo tale che Furio si abitui alla tua presenza costantemente. Potresti anche attirarlo, più avanti, con qualche leccornia a lui gradita. E ricorda che è meglio evitare il guanto. L'unica arma, in questi casi, è pazienza pazienza e ancora pazienza. Ciao!
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Più probabile che invece se lo siano mangiato. Capita, soprattutto se gli individui sono inesperti, che le uova vengano mangiate.
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Potresti farle vivere all'aperto recintandole e coprendole con della rete, ad esempio, anche sopra, in modo che l'eventuale poiana non possa attaccare le tue galline. In caso contrario, credo che non esista nulla per proteggere le tue galline quando sono al pascolo, a meno che non siano sorvegliate a vista o che tu le allevi al coperto. E qualsiasi varietà o razza di gallina finirebbe tra gli artigli della poiana.
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Per procedere ad una incubazione artificiale delle uova dei tuoi bengalini (sono bengalini o diamanti mandarino?) occorrono due cose essenzialmente: una buona incubatrice, che sappia mantenere costanti parametri importantissimi quali umidità e temperatura e, ultima ma non meno importante, esperienza. Con l'uso di una lampada probabilmente rischi di cuocerle. Un'altra cosa: le uova era feconde? Potrebbe darsi che non siano state fecondate. E' utile eseguire, sempre, la speratura delle uova: prendi le uova della prima covata tra l'indice e il pollice e ponile contro una fonte luminosa. Se in trasparenza noterai un nucleo più scuro allora l'uovo è stato fecondato, altrimenti non è stato fecondato e può essere rimosso dal nido. Ciao!
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Tra tutti i vari tipi di pet birds, oserei dire che il diamante mandarino è quello che si riproduce con più facilità in cattività. Quindi, se hanno fatto anche il nido, probabilmente è questione di tempo. Ti sconsiglio però di spostare la gabbia ogni giorno, soprattutto se stanno riproducendosi e una volta che avranno deposto e coveranno. Sarebbe un'inutile stress sottoporli a questi spostamenti, anche perchè non è sano far subire loro contiunui sbalzi di temperatura. Quindi ti consiglio di tenerli o dentro o fuori, in modo che nell'uno o nell'altro caso si abituino alla temperatura.